LE  ANTENNE  SHARK  VHF  E  UHF

Di I0NPN Luigi Lodovichetti (ndr il Signor “Shark”)

LE ORIGINI, LA STORIA E COME SONO STATE REALIZZATE

Pur essendo fuori produzione da molto tempo mi viene spesso richiesto di conoscere le origini delle mie antenne, la storia dei vari modelli e delle misure, sia da parte di chi ne ha reperita una, sia dalla nuova generazione di OM che probabilmente ne ha sentito parlare.  Premetto che questo articolo è finalizzato esclusivamente a tale scopo cercando di accontentare i radioamatori nel modo più esaustivo possibile con suggerimenti per facilitare coloro  che, pur non avendo sufficiente esperienza, intendono cimentarsi nella costruzione di un’antenna. 

Dunque, comincerò dalla situazione esistente negli anni ’70 e dai motivi che mi hanno spinto alla sperimentazione e realizzazione delle antenne. Fu proprio in quel periodo che nacque la serie delle antenne Shark VHF con la versione 10 elementi (1976), poi la 13 elementi (1977) alle quali fecero seguito la 20 elementi e la 4 elementi (1979).  Infine si aggiunsero le UHF con la 25 elementi (1978) e la 6 elementi (1980).  Oltre alle Shark vennero prodotte la 6 elementi per i 50 MHz e la tribanda HF35 per i 10, 15, 20 m. 

Negli anni ’70 l’attività in VHF era profondamente diversa rispetto ad oggi, essendo caratterizzata dall’assenza di apparati commerciali, se si escludono i primi canalizzati in FM.  All’epoca le antenne più diffuse erano le  Fracarro 6 e 11 elementi che consentivano a tutti di iniziare l’attività spendendo cifre ragionevoli.  Come tutti i prodotti destinati ad essere fatti su larga scala, erano di montaggio semplice e di qualità essenziale,  come un oggetto “consumer”, da cambiare frequentemente viste le ridotte dimensioni e la facilità di montaggio e smontaggio.   Date le potenze degli apparati con pochi Watt e prevalentemente autocostruiti i collegamenti erano per lo più locali.   In seguito, all’inizio degli anni ’80, l’aumento dell’attività e i nascenti collegamenti Moon Bounce richiesero sempre più potenza di trasmissione ed antenne più performanti.  Pertanto erano necessarie antenne con guadagni superiori con le inevitabili maggior dimensioni sia del boom che numero degli elementi. 

Foto 1 – campo di prova

L’unica strada percorribile per costruirsi un’antenna era basarsi sui sacri testi o su schemi pubblicati sulle riviste specializzate.  Fu così che iniziai a studiare numerosi progetti, e dopo averli analizzati notai misure notevolmente diverse tra loro nei diametri e spaziature.  Quindi era impossibile partire da una base certa per impostare la costruzione di una nuova  antenna.  All’epoca, sviluppare le antenne era ben diverso da oggi; di computer se ne sentiva parlare solo in ambiti professionali e la strumentazione RF era di difficile e costosa reperibilità. Oggi c’è una vasta disponibilità di programmi di simulazione delle antenna (anche gratuiti) che facilitano il lavoro di progettazione e permettono senza sforzo di iniziare la sperimentazione.  Detto questo  però  tengo  a  precisare  che  occorrono  verifiche  strumentali  sul campo. Penso che ritenersi soddisfatti dei collegamenti solo per aver collegato “Tizio o Caio” con la propria antenna senza tenere in debito conto le innumerevoli variabili in un collegamento e senza aver fatto confronti e misure precise non ci rende consapevoli dei limiti raggiunti e ha poco a che fare con lo spirito di un “vero” radiantismo. 

A parte queste personali considerazioni, fu nei primi anni ’70 che cominciò a venirmi in mente l’idea di costruire un’antenna con caratteristiche migliori di quelle all’epoca disponibili, cercando di coniugare le prestazioni con la qualità.  Per impostare la nascente antenna decisi di partire da zero, basandomi sui progettisti Yagi-Uda. Per prima cosa per la sperimentazione cercai e trovai una zona di decine di ettari totalmente libera da ostacoli (foto 1).  In seguito realizzai una quantità enorme di elementi, variabili in lunghezza e diametri, nonché di materiali diversi (alluminio, ottone e rame) oltre ad un palo di sostegno telescopico da 8 m con alla base un goniometro largo 35 cm, solidale con il palo, per rilevare i diagrammi polari d’irradiazione (foto 2).

Foto 2 – il goniometro

A questo punto occorreva un sistema per misurare l’intensità del segnale e del R.O.S.   Adottai quindi un misuratore di campo professionale con un microamperometro di grandi dimensioni da circa 15 cm di scala per una comoda lettura e risoluzione (foto 3).  Dovendo apprezzare i decimi di dB una scala era fortemente espansa.   Per precauzione, dato che le misure potevano protrarsi per periodi lunghi sul campo con escursione termica e rischio di variazione dei valori misurati, dotai il misuratore di una stabilizzazione termica.  All’ingresso del misuratore era posizionato un attenuatore fisso da 10 dB per un migliore disaccoppiamento, seguito da attenuatori variabili Key e HP con step da 0,1 dB a salire.  La misura del R.O.S. è stata rilevata con accoppiatori direzionali HP e Narda.   I cavi coassiali di collegamento erano con connettori “N” e calibrati con lunghezza multipla di 1/2 λ.

Foto 3 – lo strumento

Poiché oltre alla parte ricevente occorreva anche quella irradiante un segnale da una certa distanza, pensai di utilizzare un trasmettitore da 20 W regolato ad appena 100 mW, ciò al fine di minimizzare la deriva del livello della potenza trasmessa e migliorare l’affidabilità delle misure.  Il trasmettitore venne alimentato con un accumulatore da 45 Ah.   Come antenna trasmittente, invece del consigliato classico dipolo a 1/2 λ nelle varie configurazioni, fu adottata un’antenna da 5 elementi per la buona larghezza di banda, ma soprattutto per avere l’irradiazione in una precisa e stretta direzione al fine  di  minimizzare  le  riflessioni,  particolarmente  dal  suolo,  che spesso per somma o differenza falsano le misure. Tale antenna era posta su un treppiede alto 8 m e controventato, con la possibilità di spostarlo da 300 m a 1,5 km di distanza a seconda delle necessità.

A questo punto, ben equipaggiato e ritenendo di aver adottato tutte le precauzioni per garantire risultati attendibili, iniziai la sperimentazione sul campo con innumerevoli combinazioni dei vari elementi preparati al fine di ottenere il massimo possibile sui parametri principali: guadagno, lobi laterali, rapporto avanti-retro ed adattamento d’impedenza.  Per la nascente antenna  iniziai con un dipolo ripiegato e relativo balun.  Ritengo utile evidenziare che la scelta di tale dipolo deriva dal fatto che altri tipi di radiatori che sperimentai: a gamma match, hairpin, delta, ecc., seppur più semplici ed economici, riscontrai problemi sull’impostazione iniziale dell’impedenza e una scarsa separazione delle correnti che circolano sul cavo coassiale e sul radiatore che evitai con il dipolo ripiegato.   Dopo aver posizionato il dipolo rimaneva l’aggiunta degli elementi.  Questa parte è stata ovviamente la più difficile perché non segue le spaziature fisse descritte negli schemi classici.  La loro ottimizzazione portò ad una spaziatura diversificata in quanto, similmente ai circuiti risonanti di tipo L/C accoppiati, tarandone uno gli altri interagiscono e ha comportato una sperimentazione molto lunga e articolata ma che ha dato i suoi frutti. La particolare spaziatura “anomala” trovata rispetto a spaziature classiche adottata da altri costruttori degli elementi è una delle caratteristiche singolari delle antenne Shark. Ne derivò una 10 elementi (con un guadagno leggermente superiore, un boom leggermente più corto e diagramma meno frastagliato rispetto alla diffusissima 11 elementi Fracarro.

Shark 10 elementi

A seguito dei risultati raggiunti mi venne in mente di cercare la durata nel tempo degli stessi e, anche se nel passato su miei articoli ne ho rimarcato l’importanza ritengo, “repetita iuvant”,  opportuno ribadirlo anche in questa occasione.   E noto che l’esposizione alle intemperie delle antenne ne causa la corrosione dei materiale di cui sono realizzate per la salsedine e/o inquinamento con conseguente perdita di caratteristiche e prestazioni.   Se da un lato “rosicchiare” frazioni di dB sul guadagno dell’antenna è difficile, dall’altro, per colpa degli agenti atmosferici è facilissimo perderne tanti.  

Gli elementi dell’antenna sono sede di correnti a radio frequenza che per “effetto pelle” tendono a scorrere solo sulla superficie dei conduttori.   Senza  addentrarci  troppo  nella  fisica  e  nelle  formule sappiate che in conduttore cilindrico la densità di corrente è maggiore nello strato superficiale e tende a diminuire esponenzialmente verso il centro del conduttore.  La profondità di penetrazione citata nelle formule è la distanza dalla superficie ove la corrente si è ridotta a circa il 63 %.  Facendo due conti per l’alluminio a 145 MHz si ottiene una profondità di appena 7 micron e di 4 micron a 432 Mhz.   In termini teorici ma anche pratici la determinazione di  cosa  comporta  l’effetto  pelle  sugli  elementi  dell’antenna è piuttosto complicata, infatti entrano in gioco tutta una serie di fattori di difficile determinazione spessore ed omogeneità/eterogeneità dell’ossido, presenza di umidità, ecc.. A titolo di esempio ho eseguito un esperimento per mera curiosità su una piccola antenna VHF da quattro elementi: si trattava di verificare la differenza delle caratteristiche su uno strumento ad alta risoluzione tra elementi in allumino nuovo da estrusione, e degli stessi dopo un’accurata lucidatura.  Ebbene, si notò un leggero miglioramento in favore della lucidatura. Da ciò è facile dedurne quanto possa incidere l’ossidazione dell’alluminio a causa degli agenti atmosferici.  Certamente quantificare la perdita delle caratteristiche non è cosa semplice, sia perché non è istantanea, sia perché non è come verificare un apparato sul tavolo.  A questo punto sorge spontanea la domanda: quanti si sono tolti la curiosità di verificarla (non con l’S-meter, che rileva ampie variazioni) su un’antenna prima da nuova e dopo l’esposizione all’aperto?  Solitamente, una volta installata, ci si limita ai controlli sulla staticità e al ros-metro sulla risonanza, metodo certo valido ma non sufficiente e tutto finisce lì. 

Foto 4 – stringi tubo

Per tagliare la “testa al toro” pensai che il sistema più idoneo era di passivare e stabilizzare l’alluminio mediante un processo  galvanico  di  anodizzazione.  Non fu difficile attuarlo ma la “sorpresa” fu nel riscontrare una notevole variazione del valore di guadagno faticosamente raggiunto.  Questo mi obbligò a ripetere la sperimentazione da capo con il materiale anodizzato.  Va anche precisato che altri sistemi di trattamento galvanico non sono paragonabili all’anodizzazione, come confermato dall’adozione a livello industriale e in ambito edilizio su porte e finestre.  Se però prudentemente viene usato il processo di anodizzazione, non solo ci lascia tranquilli per decenni sul mantenimento delle caratteristiche iniziali, ma si evitano anche le manutenzioni, specialmente quando le strutture sono poco agevoli.  A testimonianza esistono tanti di coloro che non hanno mai avuto problemi in tal senso.  Le antenne Shark, vista l’importanza dell’affidabilità, sono state le prime, e al momento mi risulta uniche, ad avere questo trattamento.

Foto 5 – serraggio

Torniamo adesso alla sperimentazione e realizzazione.  Una volta terminata l’impostazione migliore delle lunghezze e spaziature degli elementi rimaneva la struttura meccanica che, per accontentare anche i più esigenti, richiedeva tassativamente una realizzazione professionale, cercando di non sacrificare nulla sulla semplicità di assemblaggio e robustezza. Ora entriamo nel merito della costruzione: il boom è formato da due sole parti innestabili tenute ferme da un morsetto in fusione d’alluminio che evita viti passanti (foto 4).

Foto 6 – punzonatura

Per gli elementi fu scelto un robusto tondino d’alluminio anticorodal da 6 mm in modo da resistere agli urti e al peso della neve e/o ghiaccio, oltre agli immancabili volatili.  Gli elementi recano al centro una battuta d’arresto per una simmetrica centratura (foto 5).  Inoltre ad una estremità c’è una lettera alfabetica punzonata per una rapida, irreversibile ed inconfondibile identificazione che esclude l’uso del metro, fascette colorate, ecc. (foto 6).  Infine il fissaggio degli elementi sul boom avviene con un sistema originale ed esclusivo con il quale mediante una vite con testa a farfalla consente con una sola mano di bloccarli senza la necessità di alcun attrezzo.  Tale semplicità e rapidità sono essenziali, specie nelle operazioni in portatile come ad esempio la partecipazione ad un contest.

Foto 7 – balun

Anche nella realizzazione del dipolo è stata posta la massima cura utilizzando il tipo ripiegato già dotato di balun integrato in cavo coassiale che evita l’autocostruzione con misure non sempre precise.  Le connessioni tra balun e dipolo sono state conglobate in una resina di elevata qualità per la protezione totale dagli agenti atmosferici.  Per finire è stato ottimizzato anche il connettore coassiale, realizzato autonomamente con ottone nichelato, inner in bronzo fosforoso poi dorato e con isolamento in Teflon (foto 7).  

Diagramma 10 elementi
10 elementi

Il corpo è più lungo del normale per agevolare la copertura con il nastro autoagglomerante.   Il supporto  per  il  fissaggio  del  boom-mast non è con i soliti attacchi economici per uso TV, bensì attentamente studiato e fuso in alluminio su apposita conchiglia (foto 8).  Questo permette una facile rotazione del boom orizzontale o verticale senza viti che l’attraversano. A completamento non poteva mancare una bulloneria totalmente in acciaio inox.  Prima della messa in produzione furono fatte le verifiche finali con strumentazione professionale mediante un network analyzer HP e un’antenna calibro-campione di riferimento realizzata su progetto N.B.S. (National Bureau Standards) che ho pubblicato su Radio Kit  n. 9 del 2022 nella versione UHF.

Foto 8 – supporto boom
Foto 9 – culla

LA 13 ELEMENTI

Dopo la 10 elementi venne sperimentata la versione da 13 elementi.  Lo scopo era di ottenere caratteristiche superiori ma che fosse anche trasformabile in 13 elementi una da 10 elementi, mediante un apposito kit, per venire incontro a coloro che già la possedevano.  La soluzione di rendere la 13 elementi componibile-scomponibile è unica nel suo genere, rivelandosi estremamente funzionale in una versione o l’altra per l’uso fisso o portatile a seconda delle necessità. Strutturalmente l’antenna è composta dalle due parti che formano il boom della 10 elementi al  quale, una  volta  separato,  viene aggiunto al centro un’altra parte del boom dello stesso diametro e lungo 2 metri, recante altri 3 elementi.   Il supporto per il boom-mast è lo stesso della 10 elementi, (foto 8), mentre per irrobustire il boom è stato escluso l’uso dei  soliti  cordini per i  tiranti, optando su una culla di rinforzo in tubo di alluminio posto sopra la parte centrale mediante una serie di staffe in fusione d’alluminio e (foto 9).  Il dipolo ed elementi seguono il sistema della 10 elementi.

LA 20 ELEMENTI

Shark 20 elementi

La Shark 20 elementi è l’antenna top della gamma VHF.  Nonostante l’arrivo dei primi programmi di simulazione che, come già detto, richiedono comunque una verifica e ritocchi sul campo, seppur più gravoso si è preferito passare direttamente all’area di test range visti gli eccellenti e realistici risultati ottenuti in precedenza.  Gli obbiettivi da raggiungere si prospettavano ardui essendo l’antenna più lunga fino a quel momento ed aveva come obbiettivo le prestazioni ai massimi livelli possibili su: guadagno, larghezza di banda ed il R.O.S. sulla parte bassa riservata alla SSB.  Il diagramma d’irradiazione doveva avere il minimo di lobi secondari, particolarmente sul retro, sia per ridurre il rumore generato dalla terra, sia in fase di elevazione verso il cielo, fattore importante per l’attività Moon Bounce e nell’accoppiamento di più antenne ove i lobi secondari tendono ad accentuarsi. 

Diagramma 20 elementi

Per evidenziare l’importanza dei lobi laterali, che nei casi migliori arrivano a stento ai -15 dB, nel grafico reale (non simulato!) della si raggiungono -22 dB, e sul retro -30 dB, valori elevati ottenuti con estenuante sperimentazione.  C’è da dire che i lobi secondari sottraggono una percentuale bassa di potenza al lobo principale e quindi incidono relativamente poco sul guadagno di trasmissione, ma lo stesso non si può affermare sulla ricezione, che viene peggiorata sia per le riflessioni che per la cattura di rumore di qualunque origine.  Naturalmente nella progettazione e realizzazione ha assunto forte rilievo la lunghezza del boom, il peso, la semplicità e rapidità di  assemblaggio  con  il  minor  numero  di  pezzi possibili.  Giova far presente che prima di decidere sulla soluzione migliore, la sperimentazione fu fatta su un boom lungo 18 m e un’infinità di elementi per costatare fino a che punto ci si poteva spingere pur sapendo che ogni elemento aggiunto comporta un aumento pari alla metà del precedente ed a patto che sia ottimizzato.  Oltre tutto era già assodato che il massimo guadagno sui 145 MHz su un boom intorno ai 9 metri è di 15 dB, decimo più o decimo meno, come lo dimostravano le tabelle e varie simulazioni.  La conclusione fu che un boom con lunghezza accettabile che ospitasse 20 elementi, spaziati nel migliore dei modi, costituivano un giusto compromesso sui numerosi parametri che purtroppo interagiscono.  In verità, qualche decimo in più era possibile ma naturalmente a scapito dei lobi laterali.  Ad ogni buon conto, in seguito vennero fatti controlli comparativi con tutte le antenne all’epoca disponibili in commercio, nazionali ed estere. Successivamente, per semplice doveroso scrupolo, furono sperimentate altre combinazioni con dipoli ed elementi diversi, passando dal loop alle forme più “strane”, tanto decantate con risultati “miracolosi” che non ho mai riscontrato. Le migliori si presentavano non solo macchinose e con pesanti strutture ma, al limite, non facevano altro che avvalorare quel risultato già raggiunto ben 40 anni prima con una più semplice e leggera Yagi da 20 elementi!  Ed anche se l’uso di loop, quad et similia dovesse comportare un boom leggermente più corto, c’è un “prezzo da pagare”, con strutture notevolmente più instabili e pesanti.   Oltre a questo, è arcinoto che nei circuiti risonanti il massimo rendimento lo si ottiene con il più alto fattore  di  merito  Q,  che  è  inversamente  proporzionale  alla larghezza di banda come dimostrano le antenne TV a larga banda con meno guadagno di quelle a singolo canale.

Caratteristiche 20el.

Pertanto se vengono usati sistemi con il radiatore formato da più elementi, ad esempio in configurazione log-periodica od altro per allargare la banda, si ottiene un abbassamento del Q, ed è già sufficiente e più semplice iniziare da un dipolo ripiegato che ha una buona larghezza di banda e un rendimento maggiore rispetto al dipolo semplice nelle varie configurazioni.  Quindi, per superare il massimo guadagno solo di qualche decimo di dB con i sistemi attuali bisogna aumentare di non poco la lunghezza del boom e il numero degli elementi, con il non indifferente peso e complessità varie.  D’altra parte, almeno finora, sistemi rivoluzionari non mi sembra di intravvederne all’orizzonte!  A mio modesto parere, diventa inutile girarci tanto intorno dando spazio alla fantasia per cercare miracoli.  Se ciò avviene, solitamente, deriva dalla mancata consapevolezza delle reali caratteristiche della propria antenna e si pensa che con quella di X – Y le cose andrebbero chissà quanto meglio.  Non parliamo se ci si mette di mezzo anche l’esterofilia!  Se poi l’avere sopra il tetto un sistema che aldilà dei risultati reali misurati ci crea quell’impressione che ci gratifica, allora è altro discorso.  A mio avviso, prima di fantasticare troppo sulla scelta di un apparato, magari incantati dal numero di memorie e lucette varie, si dovrebbe ponderare più attentamente la scelta dell’antenna, dalla quale partono ed arrivano i segnali, e quindi sarebbe meglio valutare lo scrupolo posto sui particolari da dedurne l’altrettanta cura posta sulla ottimizzazione dei parametri.

Foto 10 – supporto boom
Foto 11 – giunto boom

In buona sostanza, con la Shark 20 elementi di più non era possibile ottenere, similmente ad un limone spremuto al massimo e nel modo migliore.  Qualora ne fosse anche uscita un’ulteriore goccia sarebbe stata di lieve entità e utilità.   Dopo tutto quanto sopra, vediamo adesso come è fatta: per il fissaggio degli elementi ho adottato il collaudato sistema utilizzato nella 10 e nella 13 elementi.  Ovviamente cambiano le dimensioni del boom e l’aggiunta dei tiranti.  Il primo è composto solamente da 4 pezzi di grosse dimensioni a scalare per un miglior compromesso tra peso e flessibilità onde evitare inutili e dannose incurvature del boom; i due pezzi centrali sono in tubo tondo d’alluminio da 40 mm, di diametro mentre le due estremità sono da 28 mm. I due tiranti di sostegno sono in tubo tondo d’alluminio per controllare meglio l’antenna nelle oscillazioni laterali ed nella fase di elevazione verso il cielo nel Moon Bounce.   L’altezza del triangolo che si viene a formare dai  tiranti  e  dal  boom  come  base viene determinato da una apposita asticella a corredo per stabilire l’esatta distanza. Così l’antenna assume rapidamente un aspetto perfettamente in squadro senza alcun aggiustamento.  Altrettanto specifici sono l’attacco boom-mast ed il giunto per i tiranti in alluminio fuso in conchiglia (Foto 10, 11).

A questo punto mi sia consentito, per mera completezza e amore di verità, aprire una parentesi: Il risultato del fissaggio degli elementi come si vede nella Foto 5 e l’attacco boom-mast della Foto 10 si sono dimostrati talmente validi che altri produttori li hanno copiati.

F

In definitiva, l’attenzione posta sulle caratteristiche elettriche e meccaniche rappresenta il massimo per coloro che, per vari motivi, non intendono affrontare il tema dell’accoppiamento di due antenne con prestazioni inferiori e, anche in quei casi, non è detto che le complicazioni meccaniche e le inevitabili perdite sui cavi e connettori possono rivelarsi una soluzione superiore.  Operare con la Shark 20 elementi la differenza si “sente” eccome! avendo la netta sensazione di minor rumore in ricezione proprio ai ridotti lobi laterali ed i molto stretti sui piani E ed H. 

Ultima nota è chiarire l’effetto della pioggia: qualora avvenisse uno spostamento della risonanza verso il basso, ciò non è causato da infiltrazione d’acqua sul dipolo-balun, ma è dovuto all’alto Q dell’antenna.   Quindi, con un basso Q nessuna variazione ma inevitabilmente meno resa perché, come già detto, oltre agli elementi fisici di cui è composta, esistono i fattori parassiti ambientali, tra questi anche l’umido e la pioggia sono elementi fondamentali ed è proprio la pioggia che, depositando tante goccioline sopra gli elementi, cambia le condizioni del dielettrico che circonda l’antenna e quindi le caratteristiche degli elementi, spostando così la risonanza verso il basso ma poi asciugando ritorna nella normalità.   Ciò è tanto vero che la 10 e la 13 elementi, avendo lo stesso materiale ma una minor superficie esposta alla pioggia, non ne risentono.  In fin dei conti e tutto sommato, fortunatamente il nostro è pure il “Paese del sole”…..

ANTENNA SHARK 4 ELEMENTI VHF

E’ l’ultima della serie VHF.  E’ nata nel 1980 per soddisfare coloro che desideravano un’antenna di piccole dimensioni ma con lo stesso materiale e criterio della 10 e 13 elementi.  Il boom è più lungo dietro il riflettore per la rotazione della polarizzazione senza nulla nel mezzo degli elementi.

ANTENNA SHARK 6 ELEMENTI UHF

Completata la serie VHF delle Shark è seguita la serie UHF con una 6 elementi ed una 25 elementi.   In entrambe è stato usato lo stesso criterio per gli elementi delle VHF ma isolati con boccole in Delrin. Il dipolo è sempre di tipo ripiegato come nella serie VHF mentre il balun è con cavo in PTFE e il connettore di tipo “N”.  L’attacco al mast, similmente alla 4 el. VHF, è posteriore ed è distante dal riflettore senza viti passanti per un’agevole rotazione della polarizzazione senza alcun impedimento per gli elementi.

ANTENNA SHARK 25 ELEMENTI UHF

E’ l’antenna top della gamma UHF.  Poiché la frequenza è tre volte più alta rispetto alle VHF, le giuste distanze tra gli elementi sono ridotte e quindi il boom in termini di lambda può essere più lungo e più alto può essere il numero degli elementi raggiungendo un guadagno di 17,5 dB/i.  inoltre, è stato ottimizzato il diagramma d’irradiazione: lobi laterali -55 dB ed il rapporto fronte-retro di 42 dB, un vero e proprio nullo, come è visibile nella fig 15.   Anche in quest’antenna gli elementi sono isolati come per la versione da 6 elementi.  Il tipo di sostegno per i tiranti è simile alla 20 elementi VHF, mentre l’attacco per il boom-mast è lo stesso della 10 e della 13 elementi VHF.  Il dipolo con il balun è identico alla 6 elementi UHF con connettore “N”.  Anche in questo caso è stata verificata con l’antenna-campione UHF su progetto N.B.S.

Spero di essere stato in qualche modo utile, ma soprattutto di aver esaudito coloro che desideravano conoscere quanto più possibile sulle antenne Shark.  
I0NPN Luigi

Comments are closed.